1.1. Aspetti fisici
Per declinare le qualita’ della Via della Spada, deve essere considerato un assunto di base: che la pratica sia condotta in modo ortodosso e corretto, sotto la guida di un insegnante qualificato. Solo in questo modo si realizza pienamente un aspetto peculiare del Kendo (che potrebbe considerarsi una prima qualita’ della Via della Spada): il fatto di essere accessibile anche a chi e’ gia’ in eta’ matura, purche’ in buona salute: la pratica accurata e costante riesce a recuperare anche chi non e’ naturalmente portato (ne’ tantomeno si e’ mai allenato per diventarlo) per il coordinamento muscolare e per il contatto fisico, come ho osservato in numerose occasioni.
D’altra parte, come rovescio della medaglia, va anche detto che il Kendo non si presta a migliorare l’aspetto corporeo (niente addominali scolpiti o perdite miracolose di peso in eccesso), ne’ tantomeno, per la sua asimmetricita’ e per la tipologia del gesto, mi sentirei di consigliarlo come alternativa ad altre attivita’ atletiche, particolarmente per chi sia nell’eta’ dello sviluppo, come un adolescente, o per chi abbia problemi oggettivi di resistenza alla fatica.
1.2. Aspetti pedagogici
Certamente il Kendo nasce anche con un intento di formazione del carattere. Su questo punto, che io ritengo molto importante dal punto di vista “filologico”, per comprendere l’evoluzione della pratica, non oso peraltro dilungarmi. Se questa e’ senza dubbio una qualita’ della Via della Spada, gli aspetti pedagogici della stessa vanno riportati al contesto giapponese (o comunque orientale) in cui il Kendo viene somministrato ad una popolazione di eta’ compatibile – e comunque in un ambito culturale ben preciso e coerente. Nella nostra realta’, fatta prevalentemente di praticanti adulti e soprattutto inserita in una societa’ profondamente diversa, sarei davvero spaventata da chi volesse proporre il Kendo con strumento di formazione caratteriale – avendo ben presente che cosa si intenda in questo senso nella realta’ di origine.
1.3. Aspetti sociali e morali
Piuttosto, per individuare le qualita’ della Via della Spada che la rendono particolarmente nobile, ritengo occorra ricondursi in primo luogo alla definizione di chi l’ha sviluppata – sebbene in un contesto diverso da quello in cui ci troviamo ad operare nella nostra pratica quotidiana, in Italia o in Europa.
Il ben noto “Concetto del Kendo” recita che:
“Kendo is a way to discipline the human character through the application of the principles of the sword”
E che:
“The purpose of practicing Kendo is:
To mold the mind and body,
To cultivate a vigorous spirit,
And through correct and rigid training,
To strive for improvement in the art of Kendo,
To hold in esteem human courtesy and honor,
To associate with others with sincerity,
And to forever pursue the cultivation of oneself.
Thus will one be able
To love his/her country and society,
To contribute to the development of culture,
And to promote peace and prosperity among all peoples.”
Risulta evidente che i propositi di ordine morale e sociale sopravanzano nettamente quelli di ordine fisico e salutistico, per quanto la pratica del Kendo si presenti al neofita in primo luogo tramite l’aspetto piu’ corporeo e, diciamo pure, atletico.
Si configura quindi una apparente contraddizione – una forte pratica fisica individuale si propone di arrivare a un fine spirituale collettivo. In questa caratteristica della Via della Spada sta tutta la difficolta’ del trasferire il significato profondo della disciplina a coloro che intendono studiarla.
Al di la’ della nozione teorica, la percezione di quanto sia reale il proposito del Kendo espresso nei sopracitati termini della AJKF si raggiunge inevitabilmente dopo svariati anni di pratica.
A titolo personale, ho avuto molte dimostrazioni di quanto il Kendo sia in grado di creare legami profondi basati sul rispetto reciproco e sulla comune aspirazione al miglioramento di se’ – comprendendo tutto lo spettro del “self-improvement”: dalla tecnica al carattere, alla forma fisica, alla capacita’ relazionale.
La mia “carriera” di kenshi mi ha consentito di venire a contatto con praticanti di tutto il mondo e, volontariamente o meno, di essere ambasciatrice anche della cultura del mio paese tramite il Kendo.
E’ mia convinzione profonda quindi che il vero valore del Kendo – la sua primaria qualita’ - si esprima soprattutto nella dimensione sociale. In questo senso ho sempre provato una profonda ammirazione per Inoue Shigeaki, Hachidan Hanshi di Nara, che da perfetto dilettante (ovvero non da kenshi “professionista”, come sono i professori e i poliziotti) ha sviluppato la sua visone di equilibrio fra le componenti umane della pratica, della professione e della vita privata – accentuando al di la’ di ogni possibile dubbio la valenza sociale e comunicativa del Kendo.
2.1. La divulgazione
A questo punto se le qualita’ della Via della Spada, piu’ che di tipo fisico, sono di tipo sociale, il tema della divulgazione diventa cruciale.
In pratica, il neofita si iscrive ad un “gruppo sportivo”, che tuttavia ha come scopo primario quello di renderlo un individuo armoniosamente integrato nella comunita’ del Kendo e in senso lato nella societa’. Come risolvere questo koan?
In primo luogo, nell’ottica dello sviluppo anche numerico della comunita’, come avvicinare il profano al Kendo, ovvero come presentargli una disciplina di cui conosce (solo marginalmente) l’aspetto esteriore?
In secondo luogo, come fidelizzare e integrare chi gia’ ha fatto il passo di aggregarsi a un club di Kendo, seguendo le piu’ svariate motivazioni – inclusa quella dell’addominale scolpito?
Chi si avvicina da completo principiante al Kendo spesso e’ attratto dalla spettacolarita’ della pratica, oppure cerca una replica incruenta, ma comunque fisicamente intensa, dei combattimenti dei samurai.
2.2. Ruolo dell’insegnante
Al di la’ dello scoraggiare l’atteggiamento dell’occasionale mitomane mediante vigorose somministrazioni di esercizi ripetitivi e faticosi, rimane il problema di passare correttamente il messaggio spirituale, senza assumere atteggiamenti piu’ consoni agli psicoterapeuti o ai guru della new age. Anche l’assunzione di pose da “grande maestro” da parte di chi conduce la pratica finisce per attirare in primo luogo le menti deboli, che rinunciano a priori a prendere su di se’ il carico del proprio sviluppo.
Il ruolo dell’insegnante e’ importante, nel creare la giusta collaborazione e quindi il giusto clima. In questo senso sarebbe auspicabile un approccio alla conduzione della pratica basato su linee guida precise, che facciano percepire palpabilmente l’appartenenza a un “sistema Kendo”, che travalichi i limiti del dojo stesso. Questa, secondo me, dovrebbe essere responsabilita’ primaria dei vertici tecnici del Kendo italiano – che possono in questo modo mediare le diverse abilita’ di chi in questa fase storica si occupa della crescita dei praticanti sul territorio nazionale.
2.3. Ruolo del dojo
Secondo la mia esperienza, il ruolo principale nella comunicazione al neofita deve essere affidato al dojo – intendendo con questo termine l’intero gruppo dei praticanti, ai quali va affidata il prima possibile la responsabilita’ della crescita comune.
Il miglioramento tecnico non puo’ prescindere dall’impegno collettivo – a partire dal ruolo di motodachi, che va insegnato e perfezionato come qualunque waza sin dalle prime fasi dell’apprendimento.
Se la giusta attenzione al ruolo di motodachi puo’ cominciare ad instillare l’importanza del lavoro in coppia, solo la disciplina generale della pratica ordinaria puo’ sviluppare gli aspetti relativi alla cortesia, al rispetto reciproco, alla sincerita’, oltre a trasferire quegli aspetti di “cultura del dojo” che contribuiscono all’armonia della pratica: le modalita’ nei saluti, i momenti di confronto con l’insegnante e i compagni, gli aspetti pratici dell’allenamento.
Il neofita apprende in modo naturale che ci sono usi e costumi da seguire, importanti quanto l’esecuzione corretta di un waza. Nella velocita’ con cui l’allievo si adegua ad essi si puo’ gia’ intuire la sua futura capacita’ di integrazione nel gruppo.
Quindi, a mio avviso, la prima qualita’ della Via della Spada e’ che non puo’ essere praticata in solitudine, bensi’ la dimensione del rapporto con gli altri e’ sempre prevalente e necessaria, non solo in termini di aiuto reciproco, ma anche di relazione competitiva.
Citando il Maestro Inoue, solo attraverso una pratica che ammette la sconfitta si puo’ arrivare al perfezionamento di se’. Quindi anche il confronto con compagni piu’ forti e piu’ capaci contribuisce alla crescita personale, non solo perche’ costituiscono un esempio da imitare, ma anche perche’ sono rivelatori delle nostre mancanze. Ponendo attenzione alla propria reazione davanti alla sconfitta (in uno shiai, ma anche in un esame di passaggio di grado) si ha una opportunita’ straordinaria di autoconsapevolezza.
2.4. Ruolo dei senpai
Il ruolo dei senpai – intendendo con il termine chi e’ “piu’ avanti nel cammino”, non necessariamente un insegnante, ma anche chi in senso lato ha piu’ esperienza nella pratica – e’ fondamentale, sia per creare un ambiente accogliente e disciplinato, sia per trasferire la responsabilita’ del gruppo al livello piu’ basso possibile.
La Via della Spada impone quindi comportamenti “di qualita’”, che su un campo di atletica non sarebbe ne’ necessari, ne’ tantomeno richiesti, da parte dei piu’ anziani. Sono i senpai i principali “ripetitori” del messaggio, anche senza avere un ruolo diretto di guida nella pratica. Se i senpai percepiscono la propria responsabilita’ di “custodi” della cultura del dojo, l’insegnante non dovra’ ricorrere ad atteggiamenti eccessivamente normativi o addirittura fisicamente coercitivi, perche’ il gruppo stesso sara’ in grado di autoregolamentarsi – la forma piu’ alta di esperienza sociale che si possa immaginare.
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