sabato, dicembre 22, 2007
mercoledì, dicembre 19, 2007
Tanti saluti da Fumi !
Sperando sempre che riesca a venire a trovarci prima di tornare in Giappone (a marzo 2008), Fumi manda i suoi saluti a tutto il dojo! E' in grande forma, sta facendo tantissimo per il Kendo ceco, sarebbe bello poterla avere di nuovo con noi anche per una sera! Il suo biglietto la aspetta sempre, devo solo dirci quando!
martedì, dicembre 11, 2007
Esame di renshi
Per conseguire il titolo di Renshi ("aspirante maestro") i sesti dan della nostra federazione devono sottoporre ad una commissione composta dal Presidente e dai settimi dan italiani un curriculum vitae (ovviamente relativo alla propria carriera di kendo), due lettere di presentazione stilate da altri rappresentanti di societa' affiliate CIK e un elaborato su due argomenti (su quattro segnalati dalla commissione).
Ho pensato che a qualcuno potrebbe far piacere sapere come la penso su questi argomenti - tanto per stimolare un po' il dibattito. I commenti sono i benvenuti.
Ho pensato che a qualcuno potrebbe far piacere sapere come la penso su questi argomenti - tanto per stimolare un po' il dibattito. I commenti sono i benvenuti.
Le qualità della Via della spada e la loro divulgazione.
1.1. Aspetti fisici
Per declinare le qualita’ della Via della Spada, deve essere considerato un assunto di base: che la pratica sia condotta in modo ortodosso e corretto, sotto la guida di un insegnante qualificato. Solo in questo modo si realizza pienamente un aspetto peculiare del Kendo (che potrebbe considerarsi una prima qualita’ della Via della Spada): il fatto di essere accessibile anche a chi e’ gia’ in eta’ matura, purche’ in buona salute: la pratica accurata e costante riesce a recuperare anche chi non e’ naturalmente portato (ne’ tantomeno si e’ mai allenato per diventarlo) per il coordinamento muscolare e per il contatto fisico, come ho osservato in numerose occasioni.
D’altra parte, come rovescio della medaglia, va anche detto che il Kendo non si presta a migliorare l’aspetto corporeo (niente addominali scolpiti o perdite miracolose di peso in eccesso), ne’ tantomeno, per la sua asimmetricita’ e per la tipologia del gesto, mi sentirei di consigliarlo come alternativa ad altre attivita’ atletiche, particolarmente per chi sia nell’eta’ dello sviluppo, come un adolescente, o per chi abbia problemi oggettivi di resistenza alla fatica.
1.2. Aspetti pedagogici
Certamente il Kendo nasce anche con un intento di formazione del carattere. Su questo punto, che io ritengo molto importante dal punto di vista “filologico”, per comprendere l’evoluzione della pratica, non oso peraltro dilungarmi. Se questa e’ senza dubbio una qualita’ della Via della Spada, gli aspetti pedagogici della stessa vanno riportati al contesto giapponese (o comunque orientale) in cui il Kendo viene somministrato ad una popolazione di eta’ compatibile – e comunque in un ambito culturale ben preciso e coerente. Nella nostra realta’, fatta prevalentemente di praticanti adulti e soprattutto inserita in una societa’ profondamente diversa, sarei davvero spaventata da chi volesse proporre il Kendo con strumento di formazione caratteriale – avendo ben presente che cosa si intenda in questo senso nella realta’ di origine.
1.3. Aspetti sociali e morali
Piuttosto, per individuare le qualita’ della Via della Spada che la rendono particolarmente nobile, ritengo occorra ricondursi in primo luogo alla definizione di chi l’ha sviluppata – sebbene in un contesto diverso da quello in cui ci troviamo ad operare nella nostra pratica quotidiana, in Italia o in Europa.
Il ben noto “Concetto del Kendo” recita che:
“Kendo is a way to discipline the human character through the application of the principles of the sword”
E che:
“The purpose of practicing Kendo is:
To mold the mind and body,
To cultivate a vigorous spirit,
And through correct and rigid training,
To strive for improvement in the art of Kendo,
To hold in esteem human courtesy and honor,
To associate with others with sincerity,
And to forever pursue the cultivation of oneself.
Thus will one be able
To love his/her country and society,
To contribute to the development of culture,
And to promote peace and prosperity among all peoples.”
Risulta evidente che i propositi di ordine morale e sociale sopravanzano nettamente quelli di ordine fisico e salutistico, per quanto la pratica del Kendo si presenti al neofita in primo luogo tramite l’aspetto piu’ corporeo e, diciamo pure, atletico.
Si configura quindi una apparente contraddizione – una forte pratica fisica individuale si propone di arrivare a un fine spirituale collettivo. In questa caratteristica della Via della Spada sta tutta la difficolta’ del trasferire il significato profondo della disciplina a coloro che intendono studiarla.
Al di la’ della nozione teorica, la percezione di quanto sia reale il proposito del Kendo espresso nei sopracitati termini della AJKF si raggiunge inevitabilmente dopo svariati anni di pratica.
A titolo personale, ho avuto molte dimostrazioni di quanto il Kendo sia in grado di creare legami profondi basati sul rispetto reciproco e sulla comune aspirazione al miglioramento di se’ – comprendendo tutto lo spettro del “self-improvement”: dalla tecnica al carattere, alla forma fisica, alla capacita’ relazionale.
La mia “carriera” di kenshi mi ha consentito di venire a contatto con praticanti di tutto il mondo e, volontariamente o meno, di essere ambasciatrice anche della cultura del mio paese tramite il Kendo.
E’ mia convinzione profonda quindi che il vero valore del Kendo – la sua primaria qualita’ - si esprima soprattutto nella dimensione sociale. In questo senso ho sempre provato una profonda ammirazione per Inoue Shigeaki, Hachidan Hanshi di Nara, che da perfetto dilettante (ovvero non da kenshi “professionista”, come sono i professori e i poliziotti) ha sviluppato la sua visone di equilibrio fra le componenti umane della pratica, della professione e della vita privata – accentuando al di la’ di ogni possibile dubbio la valenza sociale e comunicativa del Kendo.
2.1. La divulgazione
A questo punto se le qualita’ della Via della Spada, piu’ che di tipo fisico, sono di tipo sociale, il tema della divulgazione diventa cruciale.
In pratica, il neofita si iscrive ad un “gruppo sportivo”, che tuttavia ha come scopo primario quello di renderlo un individuo armoniosamente integrato nella comunita’ del Kendo e in senso lato nella societa’. Come risolvere questo koan?
In primo luogo, nell’ottica dello sviluppo anche numerico della comunita’, come avvicinare il profano al Kendo, ovvero come presentargli una disciplina di cui conosce (solo marginalmente) l’aspetto esteriore?
In secondo luogo, come fidelizzare e integrare chi gia’ ha fatto il passo di aggregarsi a un club di Kendo, seguendo le piu’ svariate motivazioni – inclusa quella dell’addominale scolpito?
Chi si avvicina da completo principiante al Kendo spesso e’ attratto dalla spettacolarita’ della pratica, oppure cerca una replica incruenta, ma comunque fisicamente intensa, dei combattimenti dei samurai.
2.2. Ruolo dell’insegnante
Al di la’ dello scoraggiare l’atteggiamento dell’occasionale mitomane mediante vigorose somministrazioni di esercizi ripetitivi e faticosi, rimane il problema di passare correttamente il messaggio spirituale, senza assumere atteggiamenti piu’ consoni agli psicoterapeuti o ai guru della new age. Anche l’assunzione di pose da “grande maestro” da parte di chi conduce la pratica finisce per attirare in primo luogo le menti deboli, che rinunciano a priori a prendere su di se’ il carico del proprio sviluppo.
Il ruolo dell’insegnante e’ importante, nel creare la giusta collaborazione e quindi il giusto clima. In questo senso sarebbe auspicabile un approccio alla conduzione della pratica basato su linee guida precise, che facciano percepire palpabilmente l’appartenenza a un “sistema Kendo”, che travalichi i limiti del dojo stesso. Questa, secondo me, dovrebbe essere responsabilita’ primaria dei vertici tecnici del Kendo italiano – che possono in questo modo mediare le diverse abilita’ di chi in questa fase storica si occupa della crescita dei praticanti sul territorio nazionale.
2.3. Ruolo del dojo
Secondo la mia esperienza, il ruolo principale nella comunicazione al neofita deve essere affidato al dojo – intendendo con questo termine l’intero gruppo dei praticanti, ai quali va affidata il prima possibile la responsabilita’ della crescita comune.
Il miglioramento tecnico non puo’ prescindere dall’impegno collettivo – a partire dal ruolo di motodachi, che va insegnato e perfezionato come qualunque waza sin dalle prime fasi dell’apprendimento.
Se la giusta attenzione al ruolo di motodachi puo’ cominciare ad instillare l’importanza del lavoro in coppia, solo la disciplina generale della pratica ordinaria puo’ sviluppare gli aspetti relativi alla cortesia, al rispetto reciproco, alla sincerita’, oltre a trasferire quegli aspetti di “cultura del dojo” che contribuiscono all’armonia della pratica: le modalita’ nei saluti, i momenti di confronto con l’insegnante e i compagni, gli aspetti pratici dell’allenamento.
Il neofita apprende in modo naturale che ci sono usi e costumi da seguire, importanti quanto l’esecuzione corretta di un waza. Nella velocita’ con cui l’allievo si adegua ad essi si puo’ gia’ intuire la sua futura capacita’ di integrazione nel gruppo.
Quindi, a mio avviso, la prima qualita’ della Via della Spada e’ che non puo’ essere praticata in solitudine, bensi’ la dimensione del rapporto con gli altri e’ sempre prevalente e necessaria, non solo in termini di aiuto reciproco, ma anche di relazione competitiva.
Citando il Maestro Inoue, solo attraverso una pratica che ammette la sconfitta si puo’ arrivare al perfezionamento di se’. Quindi anche il confronto con compagni piu’ forti e piu’ capaci contribuisce alla crescita personale, non solo perche’ costituiscono un esempio da imitare, ma anche perche’ sono rivelatori delle nostre mancanze. Ponendo attenzione alla propria reazione davanti alla sconfitta (in uno shiai, ma anche in un esame di passaggio di grado) si ha una opportunita’ straordinaria di autoconsapevolezza.
2.4. Ruolo dei senpai
Il ruolo dei senpai – intendendo con il termine chi e’ “piu’ avanti nel cammino”, non necessariamente un insegnante, ma anche chi in senso lato ha piu’ esperienza nella pratica – e’ fondamentale, sia per creare un ambiente accogliente e disciplinato, sia per trasferire la responsabilita’ del gruppo al livello piu’ basso possibile.
La Via della Spada impone quindi comportamenti “di qualita’”, che su un campo di atletica non sarebbe ne’ necessari, ne’ tantomeno richiesti, da parte dei piu’ anziani. Sono i senpai i principali “ripetitori” del messaggio, anche senza avere un ruolo diretto di guida nella pratica. Se i senpai percepiscono la propria responsabilita’ di “custodi” della cultura del dojo, l’insegnante non dovra’ ricorrere ad atteggiamenti eccessivamente normativi o addirittura fisicamente coercitivi, perche’ il gruppo stesso sara’ in grado di autoregolamentarsi – la forma piu’ alta di esperienza sociale che si possa immaginare.
Per declinare le qualita’ della Via della Spada, deve essere considerato un assunto di base: che la pratica sia condotta in modo ortodosso e corretto, sotto la guida di un insegnante qualificato. Solo in questo modo si realizza pienamente un aspetto peculiare del Kendo (che potrebbe considerarsi una prima qualita’ della Via della Spada): il fatto di essere accessibile anche a chi e’ gia’ in eta’ matura, purche’ in buona salute: la pratica accurata e costante riesce a recuperare anche chi non e’ naturalmente portato (ne’ tantomeno si e’ mai allenato per diventarlo) per il coordinamento muscolare e per il contatto fisico, come ho osservato in numerose occasioni.
D’altra parte, come rovescio della medaglia, va anche detto che il Kendo non si presta a migliorare l’aspetto corporeo (niente addominali scolpiti o perdite miracolose di peso in eccesso), ne’ tantomeno, per la sua asimmetricita’ e per la tipologia del gesto, mi sentirei di consigliarlo come alternativa ad altre attivita’ atletiche, particolarmente per chi sia nell’eta’ dello sviluppo, come un adolescente, o per chi abbia problemi oggettivi di resistenza alla fatica.
1.2. Aspetti pedagogici
Certamente il Kendo nasce anche con un intento di formazione del carattere. Su questo punto, che io ritengo molto importante dal punto di vista “filologico”, per comprendere l’evoluzione della pratica, non oso peraltro dilungarmi. Se questa e’ senza dubbio una qualita’ della Via della Spada, gli aspetti pedagogici della stessa vanno riportati al contesto giapponese (o comunque orientale) in cui il Kendo viene somministrato ad una popolazione di eta’ compatibile – e comunque in un ambito culturale ben preciso e coerente. Nella nostra realta’, fatta prevalentemente di praticanti adulti e soprattutto inserita in una societa’ profondamente diversa, sarei davvero spaventata da chi volesse proporre il Kendo con strumento di formazione caratteriale – avendo ben presente che cosa si intenda in questo senso nella realta’ di origine.
1.3. Aspetti sociali e morali
Piuttosto, per individuare le qualita’ della Via della Spada che la rendono particolarmente nobile, ritengo occorra ricondursi in primo luogo alla definizione di chi l’ha sviluppata – sebbene in un contesto diverso da quello in cui ci troviamo ad operare nella nostra pratica quotidiana, in Italia o in Europa.
Il ben noto “Concetto del Kendo” recita che:
“Kendo is a way to discipline the human character through the application of the principles of the sword”
E che:
“The purpose of practicing Kendo is:
To mold the mind and body,
To cultivate a vigorous spirit,
And through correct and rigid training,
To strive for improvement in the art of Kendo,
To hold in esteem human courtesy and honor,
To associate with others with sincerity,
And to forever pursue the cultivation of oneself.
Thus will one be able
To love his/her country and society,
To contribute to the development of culture,
And to promote peace and prosperity among all peoples.”
Risulta evidente che i propositi di ordine morale e sociale sopravanzano nettamente quelli di ordine fisico e salutistico, per quanto la pratica del Kendo si presenti al neofita in primo luogo tramite l’aspetto piu’ corporeo e, diciamo pure, atletico.
Si configura quindi una apparente contraddizione – una forte pratica fisica individuale si propone di arrivare a un fine spirituale collettivo. In questa caratteristica della Via della Spada sta tutta la difficolta’ del trasferire il significato profondo della disciplina a coloro che intendono studiarla.
Al di la’ della nozione teorica, la percezione di quanto sia reale il proposito del Kendo espresso nei sopracitati termini della AJKF si raggiunge inevitabilmente dopo svariati anni di pratica.
A titolo personale, ho avuto molte dimostrazioni di quanto il Kendo sia in grado di creare legami profondi basati sul rispetto reciproco e sulla comune aspirazione al miglioramento di se’ – comprendendo tutto lo spettro del “self-improvement”: dalla tecnica al carattere, alla forma fisica, alla capacita’ relazionale.
La mia “carriera” di kenshi mi ha consentito di venire a contatto con praticanti di tutto il mondo e, volontariamente o meno, di essere ambasciatrice anche della cultura del mio paese tramite il Kendo.
E’ mia convinzione profonda quindi che il vero valore del Kendo – la sua primaria qualita’ - si esprima soprattutto nella dimensione sociale. In questo senso ho sempre provato una profonda ammirazione per Inoue Shigeaki, Hachidan Hanshi di Nara, che da perfetto dilettante (ovvero non da kenshi “professionista”, come sono i professori e i poliziotti) ha sviluppato la sua visone di equilibrio fra le componenti umane della pratica, della professione e della vita privata – accentuando al di la’ di ogni possibile dubbio la valenza sociale e comunicativa del Kendo.
2.1. La divulgazione
A questo punto se le qualita’ della Via della Spada, piu’ che di tipo fisico, sono di tipo sociale, il tema della divulgazione diventa cruciale.
In pratica, il neofita si iscrive ad un “gruppo sportivo”, che tuttavia ha come scopo primario quello di renderlo un individuo armoniosamente integrato nella comunita’ del Kendo e in senso lato nella societa’. Come risolvere questo koan?
In primo luogo, nell’ottica dello sviluppo anche numerico della comunita’, come avvicinare il profano al Kendo, ovvero come presentargli una disciplina di cui conosce (solo marginalmente) l’aspetto esteriore?
In secondo luogo, come fidelizzare e integrare chi gia’ ha fatto il passo di aggregarsi a un club di Kendo, seguendo le piu’ svariate motivazioni – inclusa quella dell’addominale scolpito?
Chi si avvicina da completo principiante al Kendo spesso e’ attratto dalla spettacolarita’ della pratica, oppure cerca una replica incruenta, ma comunque fisicamente intensa, dei combattimenti dei samurai.
2.2. Ruolo dell’insegnante
Al di la’ dello scoraggiare l’atteggiamento dell’occasionale mitomane mediante vigorose somministrazioni di esercizi ripetitivi e faticosi, rimane il problema di passare correttamente il messaggio spirituale, senza assumere atteggiamenti piu’ consoni agli psicoterapeuti o ai guru della new age. Anche l’assunzione di pose da “grande maestro” da parte di chi conduce la pratica finisce per attirare in primo luogo le menti deboli, che rinunciano a priori a prendere su di se’ il carico del proprio sviluppo.
Il ruolo dell’insegnante e’ importante, nel creare la giusta collaborazione e quindi il giusto clima. In questo senso sarebbe auspicabile un approccio alla conduzione della pratica basato su linee guida precise, che facciano percepire palpabilmente l’appartenenza a un “sistema Kendo”, che travalichi i limiti del dojo stesso. Questa, secondo me, dovrebbe essere responsabilita’ primaria dei vertici tecnici del Kendo italiano – che possono in questo modo mediare le diverse abilita’ di chi in questa fase storica si occupa della crescita dei praticanti sul territorio nazionale.
2.3. Ruolo del dojo
Secondo la mia esperienza, il ruolo principale nella comunicazione al neofita deve essere affidato al dojo – intendendo con questo termine l’intero gruppo dei praticanti, ai quali va affidata il prima possibile la responsabilita’ della crescita comune.
Il miglioramento tecnico non puo’ prescindere dall’impegno collettivo – a partire dal ruolo di motodachi, che va insegnato e perfezionato come qualunque waza sin dalle prime fasi dell’apprendimento.
Se la giusta attenzione al ruolo di motodachi puo’ cominciare ad instillare l’importanza del lavoro in coppia, solo la disciplina generale della pratica ordinaria puo’ sviluppare gli aspetti relativi alla cortesia, al rispetto reciproco, alla sincerita’, oltre a trasferire quegli aspetti di “cultura del dojo” che contribuiscono all’armonia della pratica: le modalita’ nei saluti, i momenti di confronto con l’insegnante e i compagni, gli aspetti pratici dell’allenamento.
Il neofita apprende in modo naturale che ci sono usi e costumi da seguire, importanti quanto l’esecuzione corretta di un waza. Nella velocita’ con cui l’allievo si adegua ad essi si puo’ gia’ intuire la sua futura capacita’ di integrazione nel gruppo.
Quindi, a mio avviso, la prima qualita’ della Via della Spada e’ che non puo’ essere praticata in solitudine, bensi’ la dimensione del rapporto con gli altri e’ sempre prevalente e necessaria, non solo in termini di aiuto reciproco, ma anche di relazione competitiva.
Citando il Maestro Inoue, solo attraverso una pratica che ammette la sconfitta si puo’ arrivare al perfezionamento di se’. Quindi anche il confronto con compagni piu’ forti e piu’ capaci contribuisce alla crescita personale, non solo perche’ costituiscono un esempio da imitare, ma anche perche’ sono rivelatori delle nostre mancanze. Ponendo attenzione alla propria reazione davanti alla sconfitta (in uno shiai, ma anche in un esame di passaggio di grado) si ha una opportunita’ straordinaria di autoconsapevolezza.
2.4. Ruolo dei senpai
Il ruolo dei senpai – intendendo con il termine chi e’ “piu’ avanti nel cammino”, non necessariamente un insegnante, ma anche chi in senso lato ha piu’ esperienza nella pratica – e’ fondamentale, sia per creare un ambiente accogliente e disciplinato, sia per trasferire la responsabilita’ del gruppo al livello piu’ basso possibile.
La Via della Spada impone quindi comportamenti “di qualita’”, che su un campo di atletica non sarebbe ne’ necessari, ne’ tantomeno richiesti, da parte dei piu’ anziani. Sono i senpai i principali “ripetitori” del messaggio, anche senza avere un ruolo diretto di guida nella pratica. Se i senpai percepiscono la propria responsabilita’ di “custodi” della cultura del dojo, l’insegnante non dovra’ ricorrere ad atteggiamenti eccessivamente normativi o addirittura fisicamente coercitivi, perche’ il gruppo stesso sara’ in grado di autoregolamentarsi – la forma piu’ alta di esperienza sociale che si possa immaginare.
L'attitudine necessaria all'insegnamento della Via della spada.
Chi intende assumersi la responsabilita’ di insegnare Kendo (perche’ e’ in termini di responsabilita’ che io interpreto la definizione) deve in primo luogo fare chiarezza sull’obiettivo personale che vuole raggiungere. Aver il titolo di insegnante non implica automaticamente che si creda nell’utilita’ dell’insegnamento per la propria pratica, anzi e’ una lamentela frequente quella di chi “non riesce ad allenarsi, perche’ deve insegnare”. Al di la’ dei casi in cui questa affermazione sia solo un alibi per tirare il fiato e riposarsi sugli allori, occorre da parte dell’insegnante onesto una analisi lucida sul “come” renderlo utile effettivamente.
L’insegnante ha in realta’ una enorme opportunita’ – dovendo essere da esempio per gli altri praticanti, non puo’ fare meno o peggio di loro. Organizzando razionalmente la lezione, gli insegnanti posso praticare con i propri allievi e trovare spunti di miglioramento anche negli esercizi per i principianti – la fase del consiglio o l’appunto dettagliato sul singolo individuo possono aspettare il termine della lezione, in modo da non interrompere il fluire in crescendo della pratica.
Se l’insegnante percepisce come utile il lavoro che sta facendo, non puo’ intervenire nemmeno l’usura da insegnamento, che spinge tanti kenshi di alto livello tecnico a rinunciare alla conduzione della pratica, che altresi’ e’ un punto inevitabile di passaggio verso una ulteriore crescita personale.
Nella dedizione che un insegnante dimostra verso i propri allievi deve in un certo senso essere presente anche un fine sanamente egoistico: se essere superati tecnicamente dai propri allievi e’ una grande fonte di orgoglio, d’altra parte un feroce desiderio di miglioramento deve essere costantemente presente, per consentire un rapporto equilibrato con il lavoro costante nel dojo.
L’insegnante che abbia i mezzi per farlo (e in una fase di crescita come quella che il Kendo italiano sta affrontando, questo non e’ scontato) deve in primo luogo trasmettere una conoscenza tecnica: ma, non appena il praticante abbia superato la soglia del neofita, anche trasferire la responsabilita’ della propria pratica e di quella dei compagni.
Ugualmente, se un insegnante e’ straordinario dal punto di vista atletico, non necessariamente da’ garanzie di trasfondere la propria eccezionalita’ agli allievi.
L’insegnante che non possa dare dimostrazione pratica di un buon livello tecnico, sicuramente si trovera’ in difficolta’ – ma anche chi sia all’estremo opposto dello spettro potrebbe essere esposto al fallimento. Quindi quale dovrebbe essere l’attitudine ideale dell’insegnante, a prescindere dalla propria capacita’ tecnica? Dopo molta riflessione e dopo svariati anni di esperienza, direi che l’atteggiamento piu’ responsabile che si possa tenere e’ quello di tenere aperta la visione dei propri allievi – dopo aver dato loro un metodo affidabile di allenamento e una educazione di base sui comportamenti, gli allievi vanno incoraggiati quanto piu’ possibile a provare altre modalita’ di pratica, accedendo a seminari nazionali e internazionali, ricercando il contatto con altri gruppi, sia affrontando esami, sia confronti arbitrati.
Se le nostre capacita’ tecniche sono limitate, non dobbiamo incorrere nell’ulteriore errore di tenere i nostri allievi nella nostra ombra. Il massimo risultato che potremmo ottenere e’ una pletora di copie piu’ scadenti della nostra gia’ scadente pratica. Come insegnanti abbiamo il dovere di dare ai nostri allievi i mezzi per uscire dal guscio, insegnando loro a comportarsi in modo adeguato e fornendo una opportuna conoscenza di base, che consenta loro di accedere all’insegnamento anche di altri. Nella conoscenza di base, includo senz’altro anche la pratica sincera dell’etichetta del Kendo.
Se siamo ragionevolmente certi della correttezza del nostro gesto tecnico, non siamo comunque esentati dal fare lo stesso tipo di lavoro. Cio’ che ha giovato a noi e ci ha permesso di raggiungere un certo livello, potrebbe esserci stato comunicato in modi che noi stessi non riusciamo a replicare, o, semplicemente, un allievo potrebbe non recepire un insegnamento negli nostri stessi tempi o secondo gli stessi canali che ci hanno giovato.
In questo senso, il lavoro sistematico e costante nell’ambito del proprio dojo deve offrire agli allievi gli opportuni strumenti per orientarsi fra le diverse “offerte” di pratica, dando una chiave di lettura e di valutazione del lavoro che puo’ essere svolto occasionalmente sotto la guida di altri insegnanti. Fornendo un “linguaggio” corretto e una etichetta rigorosa, si aprono le porte alla fruizione dell’insegnamento di altre voci, che gli allievi sapranno cosi’ mettere a confronto per poterne trarre il massimo vantaggio.
Vale comunque la pena di rimarcare che l’insegnante deve mostrare sensibilita’ per la sicurezza e l’integrita’ fisica dei propri allievi, misurando il tipo di esercizi che propone nel dojo. Un buon modo per rendersi conto dello sforzo a cui si sottopongono i propri allievi e’ in primo luogo eseguirli in prima persona. L’insegnante con il fischietto, se non supportato da una adeguata esperienza, rischia di perdere di vista il vero carico a cui sta sottoponendo i propri allievi – che possono essere di tutte le eta’ e di diverse condizioni fisiche. Nel Kendo una buona dose di stoica sopportazione della fatica e’ necessaria – ma l’insegnante deve essere il primo a provare l’esperienza dell’affaticamento, se vuole calibrare con criterio gli esercizi che propone.
Una impostazione razionale e una conduzione coerente della lezione tipo sono anche compito primario dell’insegnante – il quale non puo’ affidarsi troppo alla fantasia, per quanto la capacita’ di proporre varianti degli esercizi sia un buon modo di tenere alta la soglia di attenzione dei propri allievi, anche nella ripetizione di movimenti consueti.
L’insegnante deve farsi carico della completa fruizione del tempo a disposizione di tutti i partecipanti alla pratica. La capacita’ di organizzare parallelamente il lavoro di gruppi di livello diverso e’ talvolta indispensabile. Questo e’ l’inevitabile corollario del fatto che l’insegnante non puo’ semplicemente concentrasi sulla tipologia di esercizio che in quel momento ritiene utile per se’ , bensi’ deve farsi carico di mantenere concentrati e muscolarmente attivi tutti i propri allievi. Pause troppo lunghe – anche per somministrare spiegazioni teoriche – non aiutanto a creare quella spirale ascendente che porta i praticanti alla massima intensita’ dello sforzo che si raggiunge al termine della lezione.
Per ricondurmi infine all’aspetto sociale del Kendo, non posso non citare il rapporto indispensabile con i senpai del proprio dojo. L’insegnante deve accertarsi che essi siano in grado di replicare la formula della pratica con continuita’, in modo da fungere da sostituti in caso di necessita’.
E’ opportuno che l’insegnante abbia modo di consigliarsi con altri membri del gruppo, per raccogliere i segnali che potrebbero sfuggirgli durante la pratica. Il ruolo dello “spogliatoio” o della birra post-allenamento non devono essere sottovalutati, proprio nell’ottica della creazione di un ambiente armonioso, in cui le domande degli allievi trovino risposta senza interrompere la pratica e in cui il gruppo riesca svolgere la propria funzione di accoglienza e di “educazione” dei nuovi arrivati.
Concludendo, l’insegnante deve faticare, comunicare, crescere assieme ai propri allievi – e non puo’ prescindere dal sentirsi responsabile, nel senso piu’ ampio, del progresso collettivo, anche quando puo’ permettersi di farsi assistere dai propri senpai.
Senza questa attitudine e questo senso di proposito, l’esperienza dell’insegnamento puo’ essere solo frustrante o tramutarsi in uno sterile esercizio di narcisismo – di cui il Kendo in generale, ed il Kendo italiano in particolare, puo’ francamente fare a meno.
L’insegnante ha in realta’ una enorme opportunita’ – dovendo essere da esempio per gli altri praticanti, non puo’ fare meno o peggio di loro. Organizzando razionalmente la lezione, gli insegnanti posso praticare con i propri allievi e trovare spunti di miglioramento anche negli esercizi per i principianti – la fase del consiglio o l’appunto dettagliato sul singolo individuo possono aspettare il termine della lezione, in modo da non interrompere il fluire in crescendo della pratica.
Se l’insegnante percepisce come utile il lavoro che sta facendo, non puo’ intervenire nemmeno l’usura da insegnamento, che spinge tanti kenshi di alto livello tecnico a rinunciare alla conduzione della pratica, che altresi’ e’ un punto inevitabile di passaggio verso una ulteriore crescita personale.
Nella dedizione che un insegnante dimostra verso i propri allievi deve in un certo senso essere presente anche un fine sanamente egoistico: se essere superati tecnicamente dai propri allievi e’ una grande fonte di orgoglio, d’altra parte un feroce desiderio di miglioramento deve essere costantemente presente, per consentire un rapporto equilibrato con il lavoro costante nel dojo.
L’insegnante che abbia i mezzi per farlo (e in una fase di crescita come quella che il Kendo italiano sta affrontando, questo non e’ scontato) deve in primo luogo trasmettere una conoscenza tecnica: ma, non appena il praticante abbia superato la soglia del neofita, anche trasferire la responsabilita’ della propria pratica e di quella dei compagni.
Ugualmente, se un insegnante e’ straordinario dal punto di vista atletico, non necessariamente da’ garanzie di trasfondere la propria eccezionalita’ agli allievi.
L’insegnante che non possa dare dimostrazione pratica di un buon livello tecnico, sicuramente si trovera’ in difficolta’ – ma anche chi sia all’estremo opposto dello spettro potrebbe essere esposto al fallimento. Quindi quale dovrebbe essere l’attitudine ideale dell’insegnante, a prescindere dalla propria capacita’ tecnica? Dopo molta riflessione e dopo svariati anni di esperienza, direi che l’atteggiamento piu’ responsabile che si possa tenere e’ quello di tenere aperta la visione dei propri allievi – dopo aver dato loro un metodo affidabile di allenamento e una educazione di base sui comportamenti, gli allievi vanno incoraggiati quanto piu’ possibile a provare altre modalita’ di pratica, accedendo a seminari nazionali e internazionali, ricercando il contatto con altri gruppi, sia affrontando esami, sia confronti arbitrati.
Se le nostre capacita’ tecniche sono limitate, non dobbiamo incorrere nell’ulteriore errore di tenere i nostri allievi nella nostra ombra. Il massimo risultato che potremmo ottenere e’ una pletora di copie piu’ scadenti della nostra gia’ scadente pratica. Come insegnanti abbiamo il dovere di dare ai nostri allievi i mezzi per uscire dal guscio, insegnando loro a comportarsi in modo adeguato e fornendo una opportuna conoscenza di base, che consenta loro di accedere all’insegnamento anche di altri. Nella conoscenza di base, includo senz’altro anche la pratica sincera dell’etichetta del Kendo.
Se siamo ragionevolmente certi della correttezza del nostro gesto tecnico, non siamo comunque esentati dal fare lo stesso tipo di lavoro. Cio’ che ha giovato a noi e ci ha permesso di raggiungere un certo livello, potrebbe esserci stato comunicato in modi che noi stessi non riusciamo a replicare, o, semplicemente, un allievo potrebbe non recepire un insegnamento negli nostri stessi tempi o secondo gli stessi canali che ci hanno giovato.
In questo senso, il lavoro sistematico e costante nell’ambito del proprio dojo deve offrire agli allievi gli opportuni strumenti per orientarsi fra le diverse “offerte” di pratica, dando una chiave di lettura e di valutazione del lavoro che puo’ essere svolto occasionalmente sotto la guida di altri insegnanti. Fornendo un “linguaggio” corretto e una etichetta rigorosa, si aprono le porte alla fruizione dell’insegnamento di altre voci, che gli allievi sapranno cosi’ mettere a confronto per poterne trarre il massimo vantaggio.
Vale comunque la pena di rimarcare che l’insegnante deve mostrare sensibilita’ per la sicurezza e l’integrita’ fisica dei propri allievi, misurando il tipo di esercizi che propone nel dojo. Un buon modo per rendersi conto dello sforzo a cui si sottopongono i propri allievi e’ in primo luogo eseguirli in prima persona. L’insegnante con il fischietto, se non supportato da una adeguata esperienza, rischia di perdere di vista il vero carico a cui sta sottoponendo i propri allievi – che possono essere di tutte le eta’ e di diverse condizioni fisiche. Nel Kendo una buona dose di stoica sopportazione della fatica e’ necessaria – ma l’insegnante deve essere il primo a provare l’esperienza dell’affaticamento, se vuole calibrare con criterio gli esercizi che propone.
Una impostazione razionale e una conduzione coerente della lezione tipo sono anche compito primario dell’insegnante – il quale non puo’ affidarsi troppo alla fantasia, per quanto la capacita’ di proporre varianti degli esercizi sia un buon modo di tenere alta la soglia di attenzione dei propri allievi, anche nella ripetizione di movimenti consueti.
L’insegnante deve farsi carico della completa fruizione del tempo a disposizione di tutti i partecipanti alla pratica. La capacita’ di organizzare parallelamente il lavoro di gruppi di livello diverso e’ talvolta indispensabile. Questo e’ l’inevitabile corollario del fatto che l’insegnante non puo’ semplicemente concentrasi sulla tipologia di esercizio che in quel momento ritiene utile per se’ , bensi’ deve farsi carico di mantenere concentrati e muscolarmente attivi tutti i propri allievi. Pause troppo lunghe – anche per somministrare spiegazioni teoriche – non aiutanto a creare quella spirale ascendente che porta i praticanti alla massima intensita’ dello sforzo che si raggiunge al termine della lezione.
Per ricondurmi infine all’aspetto sociale del Kendo, non posso non citare il rapporto indispensabile con i senpai del proprio dojo. L’insegnante deve accertarsi che essi siano in grado di replicare la formula della pratica con continuita’, in modo da fungere da sostituti in caso di necessita’.
E’ opportuno che l’insegnante abbia modo di consigliarsi con altri membri del gruppo, per raccogliere i segnali che potrebbero sfuggirgli durante la pratica. Il ruolo dello “spogliatoio” o della birra post-allenamento non devono essere sottovalutati, proprio nell’ottica della creazione di un ambiente armonioso, in cui le domande degli allievi trovino risposta senza interrompere la pratica e in cui il gruppo riesca svolgere la propria funzione di accoglienza e di “educazione” dei nuovi arrivati.
Concludendo, l’insegnante deve faticare, comunicare, crescere assieme ai propri allievi – e non puo’ prescindere dal sentirsi responsabile, nel senso piu’ ampio, del progresso collettivo, anche quando puo’ permettersi di farsi assistere dai propri senpai.
Senza questa attitudine e questo senso di proposito, l’esperienza dell’insegnamento puo’ essere solo frustrante o tramutarsi in uno sterile esercizio di narcisismo – di cui il Kendo in generale, ed il Kendo italiano in particolare, puo’ francamente fare a meno.
domenica, novembre 25, 2007
Genova 18 Novembre
La giornata comincia presto... per alcuni anche troppo...
La mattina è dedicata...
...allo stage di preparazione all'esame tenuto dal maestro Pomero

Mentre i molti faticano sul parquet, altri se la prendono con maggiore calma...
Dopo un ripasso dei primi kata, si indossa il bogu e si comincia a fare un po' di kihon


La partecipazione allo stage ed agli esami è stata massiccia, trovare un posticino di pochi cm quadrati per fare pratica non è stato per nulla agevole
Dopo un'attesa piuttosto lunga arriva finalmente il momento del giudizio...
Il più giovane del gruppo è anche il primo a partire. Pietro forse paga il poco allenamento dell'ultimo periodo ma è giovane e siamo tutti sicuri che si rifarà alla prossima occasione!
Quindi tocca a Bianca che soprattutto nel primo jigeiko fa vedere ottime cose

Il terzo a presentarsi in campo è il sottoscritto che...
...oltre alle solite foto si può avvalare di contributi video
Giulio, non in perfette condizioni fisiche, dà finalmente un senso alla sua giornata...
Mi pare che almeno il ki-ken-tai ci sia, no?

Finiti gli esami per il passaggio a shodan, iniziano quelli per gli aspiranti nidan. Dopo la solita interminabile attesa Dominique mantiene la calma
Infine, per i superstiti, solito giro conclusivo di kata!
Per concludere, i ringraziamenti di rito. Naturalmente un grazie (da parte non solo mia ma di tutti) prima di tutto ai nostri sensei: Donatella, Edo e Robi. Non mi dilungo solo per non fare la figura del pappagallo..
Un grazie poi a tutti i sempai che ci permettono di migliorare durante la pratica settimanale ed un grazie speciale al mio fotografo personale (diventi sempre più abile, dovresti abbandonare la strada del kendo e dedicarti unicamente a quella della fotografia) qui in compagnia di Stefano (complimenti a proposito agli amici di Rho!)..



Mentre i molti faticano sul parquet, altri se la prendono con maggiore calma...



La partecipazione allo stage ed agli esami è stata massiccia, trovare un posticino di pochi cm quadrati per fare pratica non è stato per nulla agevole






Giulio, non in perfette condizioni fisiche, dà finalmente un senso alla sua giornata...
Mi pare che almeno il ki-ken-tai ci sia, no?

Finiti gli esami per il passaggio a shodan, iniziano quelli per gli aspiranti nidan. Dopo la solita interminabile attesa Dominique mantiene la calma
Infine, per i superstiti, solito giro conclusivo di kata!

Un grazie poi a tutti i sempai che ci permettono di migliorare durante la pratica settimanale ed un grazie speciale al mio fotografo personale (diventi sempre più abile, dovresti abbandonare la strada del kendo e dedicarti unicamente a quella della fotografia) qui in compagnia di Stefano (complimenti a proposito agli amici di Rho!)..

giovedì, novembre 15, 2007
Il dojo cresce...
martedì, ottobre 23, 2007
lunedì, agosto 20, 2007
I maestri Tani, Kobayashi e Kasahara a Rho
Finalmente sono tornati i vecchi amici... il maestro Kasahara è una faccia nuova per i più, ma Tani e Kobayashi sono parte della nostra storia!
Il dojo è sponsor della loro venuta e la partecipazione alla pratica di Rho è stata buona... adesso vedremo chi veramente si farà tutta la strada fino a Trieste!
giovedì, agosto 09, 2007
Gli eroi dell'ultima lezione dell'anno!
Ecco gli indefessi che non sono mancati alla lezione conclusiva della stagione n°8 dell'AIK Budokan, tenutasi venerdì 3 agosto. Un esempio e uno stimolo per tutti quelli che hanno tirato i remi in barca a fine giugno... si può sempre rimediare, partecipando alla pratica del 18 agosto a Rho, con i maestri Tani, Kobayashi e Kasahara - o facendo il doveroso pellegrinaggio a Trieste!
Buona estate a tutti!
domenica, giugno 03, 2007
1° tRHOfeo Mario ROVERON
Qualche foto dal 1° tRHOfeo Mario Roveron, svoltosi a Mazzo di Rho sabato 2 giugno.
Mi scuso se la qualità delle foto lascia un po' a desiderare.. diciamo che abbiamo avuto un piccolo inconveniente con la macchina...



Mi scuso se la qualità delle foto lascia un po' a desiderare.. diciamo che abbiamo avuto un piccolo inconveniente con la macchina...

L'affascinante dimostrazione di Iaido
L'altrettanto interessante dimostrazione di Naginata eseguita da Donatella e Mattia

La squadra AIK BnF Milano al momento della presentazione dei team (...la prestanza fisica del Senpo ha leggemente occluso l'inquadratura dei restanti membri...)

Donatella in azione contro un avversario piccolo ma combattivo!
Un tentativo di men del Senpo...
Valentina, che ha portato alla squadra un mare di ippon!
Manfre il Chuken
Giulio che di sicuro non si è ritrovato gli avversari più semplici da affrontare
E' doveroso ringraziare tutti quelli che hanno dato una mano con gli arbitraggi ma una menzione speciale la merita il nostro Roby!
La prima a sinistra mi sembra di averla vista nel nostro dojo... 


Qualche foto a fine competizione..
E infine la coppa per il secondo posto..

La squadra AIK BnF Milano al momento della presentazione dei team (...la prestanza fisica del Senpo ha leggemente occluso l'inquadratura dei restanti membri...)
Donatella in azione contro un avversario piccolo ma combattivo!

Secondo me un bell'evento, un grazie a tutti quelli che l'hanno organizzato e a chi ha partecipato.
Un grazie naturalmente ai compagni di dojo ed un grazie speciale a quest'individuo qui, per il quale finalmente abbiamo trovato un ruolo adatto alle sue capacità..
Un grazie naturalmente ai compagni di dojo ed un grazie speciale a quest'individuo qui, per il quale finalmente abbiamo trovato un ruolo adatto alle sue capacità..
Naturalmente scherzo.. grazie davvero a Giuseppe che ha trovato anche il tempo di scattare un sacco di foto mentre era impegnato nel supporto all'organizzazione!
martedì, maggio 29, 2007
Bergamo: un nuovo shodan tra di noi
Ciao a tutti,
visto che si parla degli esami di dan e kyu dello scorso febbraio, ne approfitto per provare a dare il mio primo contributo al blog. Sperando che possa essere di buon auspicio per i prossimi esami, inserisco il video (se non sbaglio il primo in questo blog, di sicuro non l'ultimo) dell'esemplare prestazione eseguita da uno dei nostri kendoka preferiti...
p.s. x Donatella
non si possono inserire i commenti ai post? Scommetto che non sono l'unico che vorrebbe insultare il protagonista del video...
visto che si parla degli esami di dan e kyu dello scorso febbraio, ne approfitto per provare a dare il mio primo contributo al blog. Sperando che possa essere di buon auspicio per i prossimi esami, inserisco il video (se non sbaglio il primo in questo blog, di sicuro non l'ultimo) dell'esemplare prestazione eseguita da uno dei nostri kendoka preferiti...
p.s. x Donatella
non si possono inserire i commenti ai post? Scommetto che non sono l'unico che vorrebbe insultare il protagonista del video...
venerdì, maggio 25, 2007
Iscriviti a:
Post (Atom)